DOTT.SSA CHIARA NARDONE

Blog Psicologia e Psicoterapia

Solitudine: essere soli o sentirsi soli

15 Dic 2020 | Depressione

solitudine

Cos’è la solitudine? In realtà non esiste una definizione univoca che riesca a comprendere la globalità del concetto. Infatti, è definita sentimento, percezione, emozione, stato d’animo incurabile, condizione psicofisica, necessità esistenziale.

Già da queste poche righe si capisce quanto la solitudine sia uno stato soggettivo e quanto personale sia la sua percezione e la sua interpretazione.

L’unica verità sulla solitudine è che corrisponde alla doppia faccia della stessa medaglia: una positiva e una negativa. Per alcuni è voluta e ambita come strada maestra per ritrovare se stessi. Per altri è una condanna ineluttabile da maledire e scongiurare.

In entrambi i casi, l’essere umano è comunque solo con se stesso. La percezione del mondo e delle situazioni è sempre soggettiva ed è impossibile condividere interamente punti di vista e stati d’animo con un’altra persona. Così come, pensare di potersi mettere nei panni di un altro è una mera illusione.

La solitudine in psicologia

Anche nei vari approcci psicologici, la solitudine non ha una definizione precisa. Per fare qualche esempio, nella psicoanalisi e nel cognitivismo è considerata positivamente, come strumento per capirsi profondamente e sviluppare abilità evolute. Per il modello sistemico e la gestalt, al contrario, è sintomo della patogenesi di quadri clinici gravi.

Appare chiaro come a seconda della teoria a priori che difendo cambia la visione del contenuto che analizzo.

Un po’ come nella metafora indiana dei sei ciechi intorno ad un elefante: ognuno è convinto di descriverlo nella sua interezza, attraverso la percezione di una singola parte. Chi tocca la proboscide, si convince che l’elefante sia stretto, lungo e affusolato. Chi tocca la pancia, pensa che sia grosso, morbido e rotondo. E così via… Ovvero, limitate percezioni della realtà conducono a distorte interpretazioni di quella stessa realtà.

Pertanto, per leggere in maniera davvero funzionale la solitudine, come del resto tutti gli altri stati psicologici, si dovrebbe essere fedeli solo alla soggettiva interpretazione che ne dà la persona nella sua originalità.

Differenza tra essere soli e sentirsi soli

L’esperienza clinica ci dimostra costantemente che “essere soli” è una condizione oggettiva meno invalidante del “sentirsi soli”, che invece è una percezione soggettiva. Infatti, è così che funziona l’essere umano: ciò che è creduto nelle mia mente, esiste. Nel bene e nel male è la percezione soggettiva a fare la differenza.

In termini scientifici, la solitudine sofferta attiva le aree cerebrali del dolore e della paura e innesca le tipiche reazioni di difesa verso ciò che è indesiderato.

Gli effetti devastanti del sentirsi soli sono stati dimostrati anche attraverso indagini diagnostiche strumentali. Infatti, è stato scoperto che chi vive una costante condizione di solitudine e si sente abbandonato attiva le stesse aree cerebrali di chi prova dolore fisico (Cacioppo, 2008). Pertanto, il dolore psicologico crea effetti deleteri quanto quello fisico.

Al contrario, se l’isolamento sociale è ricercato come condizione necessaria a raggiungere uno stato alterato di coscienza per ottenere performance sopra il comune, innesca tutti i meccanismi tipici del piacere. È il caso per esempio, del campione sportivo che si concentra prima della prestazione o del genio che si immerge nei suoi ragionamenti per trovare nuove soluzioni.

Vediamo come la solitudine sia non solo una condanna, ma anche un mezzo per vivere in maniera equilibrata. L’etimologia stessa della parola esistere è ex-sistere, ovvero essere fuori → essere esposto → essere solo.

Dal momento che si nasce soli, la scelta sta se essere vittime di questa condizione o se modularla a nostro vantaggio. In realtà, la solitudine fa parte di tutta una serie di passaggi della vita dell’essere umano che spesso vengono dati per scontati, ma che se vengono saltati possono portare allo sviluppo di condizioni di malessere, fino a vere e proprie psicopatologie.

Imparare a stare bene da soli dovrebbe essere un traguardo anelato man mano che l’individuo costruisce la propria indipendenza (es. relazione genitori-figli).

Negare la solitudine è negare se stessi.

A. Lo Iacono

La solitudine come fondamento dell’autostima

La solitudine fin qui descritta ha un carattere soltanto qualitativo, ma dobbiamo evidenziare anche l’importanza della durata della sensazione. Ovvero, provare qualche momento di sconforto, non è come vivere in uno stato di costante angoscia. Così come godere delle proprie conquiste personali ottenute in autonomia, non significa vivere costantemente in una estasi mistica.

Pertanto, la solitudine può essere considerata il fondamento dell’autonomia e dell’autostima. Saperla affrontare in caso sia dolorosa e gestire in caso sia positiva, ci permette di vivere in equilibrio. Nel primo caso, per evitare di cadere nel baratro dell’angoscia inconsolabile, nel secondo per evitare di scegliere l’isolamento come unica soluzione esistenziale.

Pertanto, l’analisi della valutazione che un soggetto fa sulla sua interpretazione della solitudine può essere un indicatore della sua capacità di adattamento alle varie condizioni di vita e al suo stato psicologico.

Il soggetto equilibrato è colui che accoglie la condizione di solitudine alternandola a situazioni di socialità. Come il funambolo, che non può “marciare” né “danzare” sopra la fune, continua a camminare oscillando senza mai perdere l’equilibrio.

Il bello della vita è cercare il bello nella vita.

G. Lichtenberg
Per approfondimenti:

Loneliness: human nature and the need for social connection, 2008, Cacioppo J. T., Patrick W., W W Norton & Co.

La solitudine. Capirla e gestirla per non sentirsi soli, 2020, Nardone G., Ponte alle Grazie Editore

Psicologa Psicoterapeuta specialista in Terapia Breve Strategica, Comunicazione, Problem Solving e Coaching Strategico