DOTT.SSA CHIARA NARDONE

Blog Psicologia e Psicoterapia

La solitudine digitale: sempre più connessi e sempre più soli

15 Dic 2020 | Dipendenze

solitudine digitale

Partendo dal concetto che la solitudine per l’essere umano può essere una croce o una delizia, a seconda di come viene interpretata, la solitudine digitale è una problema in rapida espansione.

Uno degli aspetti alla base della moderna solitudine è la pretesa di avere il controllo su ogni cosa. E cosa ci regala questa sensazione di onnipotenza, se non l’iper-connessione digitale?

Paradossalmente però più alimento questa convinzione, più mi accorgo di perdere il controllo sulle cose concrete; sulle relazioni di persona per fare un esempio. Perché i rapporti interpersonali si costruiscono attraverso il modo di comunicare in maniera verbale, non verbale e paraverbale. Pertanto, il gap sta proprio nella comunicazione digitale che non rispecchia quella in presenza. Manca il contatto fisico, manca la gestione della prossemica (ovvero quanto mi avvicino o mi allontano all’altro). Così si innesca il circolo vizioso: più evito la solitudine, più mi connetto, più mi sento solo.

L’inadeguato obiettivo nell’utilizzo della tecnologia, infatti, conduce alla solitudine digitale. Chi ne soffre è sempre alla ricerca di conferme da parte degli altri. Conferme che spesso sono effimere come bolle di sapone.

La verità è che sei solo in mezzo a tanta gente che ti ama… digitalmente!

Passando ad una visione più clinica del fenomeno, l’iper-connessione è un sedativo ma non una cura, è una tentata soluzione disfunzionale che conduce a ciò che si vorrebbe eliminare: la solitudine digitale. Pertanto, le sue conseguenze patologiche originano da un’errata modalità di sfuggire alla paura di rimanere soli.

Social media e solitudine digitale

Il funzionamento alla base dei social media ci porta a credere che essere connessi digitalmente sia il corrispettivo di avere relazioni di persona. Anzi a migliorarle, in quanto riusciamo ad avere “contatti” con persone lontane o che non sentivamo più da una vita.

È facile comprendere quanto sia falsa questa convinzione e soprattutto quanto sia disfunzionale. Il contatto umano con gli altri innesca reazioni emotivo-percettive che inondano tutti i 5 sensi. Invece, la relazione attraverso il mondo digitale va a colpire solo udito e vista, che oltretutto sono spesso distorte dallo strumento stesso. Infatti, se da una parte esistono miriadi di filtri per migliorare la nostra immagine, dall’altra ci sono tutti i problemi di connessione e di perdita del video e dell’audio. Questi stimoli influenzano notevolmente la relazione costruita digitalmente. Pertanto, per ottenere un risultato che si avvicini all’ “originale” si devono andare a toccare le note emozionali per attivare la risposta paleoencefalica (struttura che gestisce le nostre emozioni durante le relazioni tra persone). Purtroppo, dobbiamo riuscire a farlo con meno della metà degli strumenti sensoriali di cui siamo dotati.

Dal momento che l’unico antidoto alla solitudine digitale è vivere a pieno le emozioni attraverso l’esperienza concreta, la mancanza di attivazione di alcuni dei nostri sensi ci porta a sentirci soli, nonostante siamo immersi totalmente in like, share, stories e simili.

Il male dilagante, inoltre, è che i nativi digitali a causa dell’abuso della tecnologia, invece di esserne facilitati, ne sono invalidati. Avendo minori possibilità di strutturare relazioni di persona hanno anche minori possibilità di sviluppare e consolidare le proprie competenze relazionali. Pertanto, avranno crescenti difficoltà nel gestire un rifiuto o un feedback negativo. Anche perché se nel mondo digitale non gradiscono un contenuto, basta dare uno scroll allo schermo e passare oltre. Ma nella relazione di persona, loro malgrado, non possono “aprire il link in un’altra finestra”.

Sempre più spesso anche le persone nate nell’era “analogica” cadono nella trappola di questa errata risposta comportamentale. Così si consolida la credenza di avere il controllo su tutto e la solitudine digitale susseguente.

Cyber-dipendenza da iper-connessione

Il paradosso di essere sempre più connessi e sempre più soli conduce facilmente alla dipendenza da mondo digitale. Essa si struttura quando è lo strumento che condiziona il suo utilizzatore piuttosto che viceversa. Il meccanismo infernale consiste nell’iniziare a ragionare sulla scia della modalità di funzionamento della macchina fino a divenirne schiavo e a sviluppare una vera e propria cyber-dipendenza. Più persone aggiungo, più il social mi metterà in evidenza, più richieste avrò, più avrò la necessità di aumentare le connessioni. Più pubblico post che ottengono molti like, più ne posterò per avere sempre più like.

In altre parole, le carenze della vita “vera”, come l’isolamento e la solitudine, vengono compensate con un uso smodato degli strumenti digitali: vivere nei social media, giocare sulle app dello smartphone, etc.

Insomma, ti illudi di vincere la solitudine, ti deludi perché ti senti ancora più solo e ti deprimi definitivamente… il tutto condito dal probabile sviluppo di una dipendenza!

Non è lo strumento in sé ad essere cattivo, ma lo è l’utilizzo che se ne fa.

Per approfondimenti:

Loneliness: human nature and the need for social connection, 2008, Cacioppo, J. T., & Patrick, W., W W Norton & Co.

La solitudine. Capirla e gestirla per non sentirsi soli, 2020, Nardone G., Ponte alle Grazie Editore

Psicologa Psicoterapeuta specialista in Terapia Breve Strategica, Comunicazione, Problem Solving e Coaching Strategico