DOTT.SSA CHIARA NARDONE

Blog Psicologia e Psicoterapia

Quando l’aspettativa dei genitori blocca le scelte dei figli

19 Nov 2019 | Genitori e figli

Quando l'aspettativa dei genitori blocca le scelte dei figli

 

Le scelte imperfette

Serena, 20 anni, si presenta nel mio studio mal curata e trasandata nell’aspetto. Eppure i suoi occhi non esprimono rassegnazione. Il suo è il tipico sguardo della tigre in gabbia, che aspetta solo l’occasione giusta per ritrovare la libertà.

Si siede in silenzio. Le chiedo se possiamo darci del tu per facilitare le operazioni comunicative. Lei annuisce lievemente con la testa.

Allora le domando: «Bene Serena, preferisci iniziare a raccontare cos’è che ti porta da me o vuoi che ti faccia qualche domanda io?»

Inizia a parlare: «Ho fissato un appuntamento perché… in realtà non lo so perché. Perché sto male» spiega. «Di preciso non so da cosa è dovuto il mio malessere. So solo che sto male!»

Allora le domando: «Questa sensazione di malessere è qualcosa che hai sempre provato dentro di te o ti senti così da qualche tempo

Lei risponde: «Prima non ero così… non ero depressa.. non ero triste… non ero bloccata… non subivo le scelte degli altri…»

A questo punto riprendo ciò che mi ha espresso fino a quel momento e le chiedo: «Correggimi se sbaglio, se non ho capito male mi hai detto che hai un malessere che non sai da dove arriva ma che non sei stata sempre depressa, triste, bloccata e che prima non subivi le scelte degli altri?»

Lei annuisce col capo e abbassa lo sguardo. Così vado avanti: «Ti sembra di subire le scelte di tutti o di qualche persona in particolare?»

Improvvisamente alza gli occhi, mi fissa e dichiara: «È tutta colpa dei miei… in particolare di mio padre! Pensavo che mi piacesse studiare medicina… ci ho provato… mi sono impegnata, ma proprio non riesco a farmela piacere!»

La guardo con aria sorpresa (più per il tono che per il contenuto) e riassumo: «Quindi, a quanto mi stai dicendo, il tuo malessere deriva dalla scelta errata di iscriversi a medicina all’università, corretto?»

Lei ripete: «Corretto!»

Pertanto proseguo: «La scelta della facoltà te l’hanno imposta i tuoi genitori, nello specifico tuo padre, o hai deciso in autonomia

Lei, ancora più concitata di prima, afferma: «Chiara è proprio questo il problema! Pensavo che fosse la scelta giusta! Mio padre cardiochirurgo prossimo a diventare primario, mia madre votata a esaudire tutti i bisogni di mio padre…»

Allora le chiedo: «Con questo cosa intendi?»

«Che mia madre si è immolata per mio padre tutta la vita! Non ha frequentato l’università e non ha mai seguito i suoi sogni per agevolare lui. Per questo da sempre mi ha spronato a seguire le orme di mio padre, perché così sarei stata autonoma, non sarei dipesa da niente e da nessuno, avrei fatto le mie scelte. Quindi per me è sempre stato scontato iscrivermi a medicina: sempre ottimi risultati a scuola, sempre brava in tutte le attività che ho intrapreso… e ora… non riesco nemmeno ad avvicinarmi ad un libro per non parlare di frequentare le lezioni in aula. Mi prende l’ansia al solo pensiero! Menomale che ora siamo nel periodo d’esame e di pausa delle lezioni.»

«Okay, okay, Serena. Fammi vedere se ho compreso la situazione: il tuo malessere si presenta nel continuare a frequentare medicina perché, utilizzando le tue parole, “Ti prende l’ansia”, giusto?»

«Esattamente!»

Allora le chiedo: «I tuoi genitori sono al corrente di questa tua difficoltà oppure nemmeno se lo immaginano?»

«Beh, mamma sì… non le ho detto niente, ma ha capito che c’è qualcosa che non va. Mi ha fatto alcune domande “strane”…» fa una pausa e un respiro profondo «Mio padre come fa ad accorgersene?! Lavora sempre! Quando non lavora ha il tennis con gli amici! Poi se solo provi a parlarci alla pari ti mangia con i panni addosso! Nemmeno riesco ad immaginare se dovessi dirgli che lascio medicina!»

A questo punto, mi scatta automaticamente un’altra domanda: «Quella che tu definisci “ansia” ti sale dal momento che lasciando medicina, non sai cos’altro fare nella vita o non sai come comunicarlo ai tuoi, in particolare a tuo padre?»

«Assolutamente per la relazione con i miei! Io so perfettamente cosa voglio fare… mi piacerebbe diventare veterinaria

Allora la interrompo, mimando le virgolette con le dita: «Saresti “medico” comunque!»

Finalmente riesco a strapparle una risata seguita dal suo commento: «In effetti sì! Ma mio padre, come tutti i medici, lo ritiene un lavoro di seconda categoria. Quando è capitato di parlare di veterinari, lui ha sempre affermato: “Che senso ha studiare tanti anni per curare delle bestie. Visto che uno deve studiare, che studi per una causa superiore!“»

Riprendo gli ultimi pezzi del puzzle e le dico: «Riepilogando, tu vorresti lasciare medicina per iscriverti a veterinaria, ma non sai come comunicarlo a tuo padre, perché prevedi una sua reazione impulsiva

«Sì, proprio così.»

«Bene. E quando tu hai contraddetto le scelte di tuo padre in passato, lui ha avuto sempre la reazione di cui parli oppure è capitato che non l’abbia avuta?»

«L’ha avuta sempre. Diventa rosso in faccia, urla e sbraita, finché io mi arrendo e gli do ragione. Ma stavolta non posso dargliela vinta… non voglio! È il mio futuro in fondo! Però sapendo che lui ritiene medicina “l’unica facoltà” e che mia madre mi ha sempre consigliato di evitare di entrarci in conflitto, adesso vivo con l’ansia di dirglielo

«Correggimi se sbaglio: non puoi continuare a frequentare medicina perché non ti piace, ma non puoi nemmeno lasciarla perché dovrai discutere con tuo padre

«Sì, precisamente.»

«Okay. E cos’è più gravoso per te? Continuare medicina e perdere altri anni a studiare per una professione che non ti renderà felice o ascoltare in religioso silenzio la reazione di tuo padre per quanto rabbiosa possa essere?»

«Ti risponderei, continuare medicina… ma in realtà non lo so

«Sai chi mi ricordi? Mi ricordi la storia dell’asino di Buridano, che si ritrovò in mezzo a due balle di fieno equivalenti ed equidistanti e morì nell’indecisione di quale delle due scegliere.»

«Okay. Ho capito. Meglio vivere facendo quello che mi piace col rimorso di aver fatto un torto alle scelte di mio padre, che vivere una vita non mia con il rimpianto di non averlo fatto!»

«Bene. Brava Serena. Da oggi alla prossima volta che ci vediamo vorrei che tu pensassi per mezz’ora al giorno al momento in cui ti troverai di fronte a tuo padre e a cosa potrebbe succedere di così catastrofico, quali parole potrebbe dirti, quali stati d’animo e sensazioni potrebbe scatenarti. Cerca di vivere proprio quel momento come se fosse reale, calati nel tuo peggiore incubo. Tutti giorni fino al prossimo appuntamento con me. Okay?»

«Va bene, lo farò

«Poi vorrei che tu ogni sera scrivessi una lettera, indirizzata a tuo padre. Dovrai lasciarti andare nell’esprimere tutto ciò che ti viene in mente pensando a lui. Non preoccuparti della calligrafia, della punteggiatura, della connessione logica tra le frasi. Scrivi di getto, così come l’idea arriva al tuo pensiero.»

«Okay! Perfetto. Grazie Chiara!»

«Mi ringrazierai dopo aver parlato con tuo padre e intrapreso la tua strada.»

Serena parlerà col padre dopo avermi incontrata per il secondo appuntamento, durante il quale fu concordata la strategia comunicativa da utilizzare per orientare la discussione verso un finale più vantaggioso per lei.

Tornerà in terza seduta iscritta alla facoltà che desiderava, sempre più convinta di diventare veterinaria e soprattutto essendo riuscita per la prima volta a parlare col padre alla pari.

Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi.
Eraclito

NB: Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Psicologa Psicoterapeuta specialista in Terapia Breve Strategica, Comunicazione, Problem Solving e Coaching Strategico